“Che sapore ha una focaccia?”
Il racconto di una mamma, Beatrice.
Olmo è un ragazzo di 14 anni con Sindrome di Down.
Vive nella provincia di Firenze, frequenta la terza media ed è tesserato nella squadra di calcio dilettantistico di Bagno a Ripoli.
Olmo ha tanti amici ed alcuni non amici.
Mercoledì pomeriggio, al termine degli allenamenti, nello spogliatoio con “il pavimento sporco” dopo la doccia, tre NON amici, ma compagni di squadra, decidono che Olmo deve mangiare un pezzo di focaccia caduto su “quel pavimento sporco”.
Un Amico di Olmo, M., si oppone: cerca di impedire ai tre NON amici di indurre Olmo a mangiare la focaccia bagnata dell’acqua sporca delle docce, ma non ci riesce: loro sono in tre e gli intimano di farsi gli affari suoi.
Olmo si mangia quel pezzo di focaccia, che “sa di schifo”, come dirà poi.
Il suo Amico però non si dà pace: non accetta il sopruso, la prepotenza subita da Olmo, e il giorno dopo decide di raccontare tutto ad un insegnante, che informa la madre di Olmo, la quale informa prontamente la società sportiva.
L’intervento disciplinare da parte della società sportiva è immediato ed adeguato e quello che è successo diventa spunto per avviare un percorso educativo sul bullismo.
Un detto recita “Ciò che CI accade, non accade A noi, ma PER noi”.
La lezione che possiamo imparare tutti è che quello che è successo ad Olmo può succedere a chiunque dei nostri figli, con o senza cromosoma in più.
Ma è stata la forza di quel NO, di quell’Amico che non ha accettato un’ingiustizia, a fare la differenza.
E quell’Amico ha detto NO perchè crede che ci sia un unico modo di comportarsi in determinate situazioni.
Una sola parte da cui stare in questi casi.
Possiamo solo augurare a noi, ai tre NON amici, alle loro famiglie, di ripartire da qui: dalla cultura dell’inclusione, della diversità e delle cose normali da fare.
Perché nel nostro presente e nel futuro di tutti i nostri figli ci siano sempre più Amici come quello di Olmo, che fanno ciò che è normale fare.
Solo così il sapore di schifo di quella schiacciata, diventerà il sapore di inclusione vera e sincera.
Trisomia 21 Firenze in accordo con la famiglia, pur condannando la gravità dell’atto in sé, non vuole disperdere energie puntando il dito contro i tre ragazzi, compito che per il momento lascia alle loro figure educative, ma impiegare energie verso le tre dita che puntano su di noi e che ci portano a riflettere sulle nostre responsabilità. Ovvero, ha scelto di gestire questa vicenda nel modo ritenuto più giusto, ribaltare la questione, mettendosi a disposizione per trasformare il negativo e il deplorevole in occasione positiva, utile a migliorare il futuro dei ragazzi che rappresenta, in nome e per tutti gli Olmo che hanno subito, che subiscono o che subiranno. Perchè non sempre, anzi quasi mai, dietro a un atto di bullismo c’è un M. che ha il coraggio di denunciare, facendolo con una semplicità disarmante e dando un’incredibile e rara lezione di umanità. In ogni ambiente, e maggiormente in quello scolastico, episodi simili spesso vengono gestiti malamente e con codardia. Il bullismo non si combatte negandolo o chiudendosi a difesa del proprio spazio, bensì riconoscendolo e affrontandolo. Quello che in questo caso ha fatto in maniera encomiabile la società di calcio dilettantistico di Bagno a Ripoli, rivolgendosi alle famiglie con una chiara e forte presa di posizione, e questa reazione farà sicuramente riflettere tutti: ragazzi, genitori e cittadini.